Scienza, ora che succede?

ec07_for_scienceLe elezioni si sono svolte e abbiamo un vincitore. Anzi no, non lo abbiamo. Però in compenso abbiamo un giocatore in più rispetto all’ultima volta. Sto parlando naturalmente del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che ha ottenuto un risultato straordinario e in parte inaspettato. È lecito quindi chiedersi che succederà adesso. Mentre inizia il solito balletto degli accordi, dei non accordi e degli appoggi esterni qualcuno si sta chiedendo quale sarà ora il destino della scienza e della ricerca in Italia. Qualcuno potrebbe rispondere che non sono certo temi fondamentali per il paese, ma se ci si ferma qualche secondo in più a riflettere ci si renderà conto che stiamo invece parlando di cose come la salute pubblica, il risparmio energetico o la sicurezza idrogeologica, tutti temi che fondamentali per il paese lo sono eccome.

Perché è necessario che la scienza sia centrale nel dibattito politico? Sostituite la parola “competenza” alla parola “scienza” e avrete la risposta. Se vogliamo parlare di economia ci rivolgeremo ad un economista, giusto? Se vogliamo parlare di diritto del lavoro ci rivolgeremo ad un giuslavorista, giusto? Ecco, allora non si vede perché per parlare di ricerca biomedica ci dobbiamo rivolgere ad un’ex indossatrice di calze (qualunque riferimento a parlamentari del PDL che senza alcuna competenza in materia portano avanti emendamenti alla legge europea sulla sperimentazione animale è puramente casuale). L’idea che i temi scientifici si possano affrontare senza competenza nasce dalla confusione tra democrazia e dittatura della maggioranza, nonché dall’ignoranza di un dettaglio fondamentale, e cioè che la scienza non è democratica.

Veniamo ora al punto, cosa ci propone Grillo per la scienza? Andando a vedere il programma la prima cosa che si nota è l’ambiguità dello stesso. Pochi punti molto generali, spesso scritti in maniera difficilmente comprensibile e sempre approssimativi. Quel poco che c’è si può analizzare nel dettaglio, e lo ha già fatto La Voce Idealista. Le sezioni che ci interessano sono energia, salute e ricerca.

La sezione energia si può liquidare subito. Una serie di buoni propositi sul recupero degli sprechi energetici domestici ed industriali, senza che venga specificato quali sono questi sprechi e come li si dovrebbe ridurre. Si nota un’eccessivo amore per i combustibili fossili,  dai quali dovremmo invece cercare di sganciarci, fino ad arrivare a suggerire l’installazione di generatori a carburante in tutte le case e luoghi pubblici (alla faccia della riduzione di emissioni). Parallelamente si esclude qualsiasi forma di recupero energetico dai rifiuti solidi, dimenticandosi che questo processo, se fatto coi rifiuti giusti (per esempio le biomasse) e con le giuste modalità produce emissioni bassissime, fino ad arrivare in alcuni casi alla situazione apparentemente paradossale in cui l’aria che esce dall’inceneritore è più pulita di quella che sta fuori. Neanche una parola sulle fonti energetiche solare ed eolica, neanche una parola (ma questo era prevedibile) sul nucleare. Si notano segni di incompetenza diffusa, come la confusione tra le unità di misura (kW e kW-h non sono la stessa cosa!) o l’ignoranza di cosa voglia dire “fonti rinnovabili”.

La sezione salute non va meglio. Dopo una serie di punti generici sull’equità del sistema sanitario e sulla riduzione degli sprechi arrivano un paio di frasi che fanno gelare il sangue. Una riguarda i farmaci: «Promuovere l’uso di farmaci generici e fuori brevetto, equivalenti e meno costosi rispetto ai farmaci “di marca” […] e più sicuri rispetto ai prodotti di recente approvazione» (grassetto mio). La frase sulla maggior sicurezza non ha alcun senso. Su quale principio ci si basa per dire che qualunque farmaco il cui brevetto è scaduto è più sicuro di un farmaco nuovo? Semmai potrebbe essere vero il contrario, comunque i profili di sicurezza vanno valutati per ogni singolo farmaco. E poi che cosa si propone qui, di disincentivare la produzione e l’approvazione di nuovi farmaci?! Spero di aver frainteso. È  fondamentale per la salute pubblica che nuovi farmaci vengano messi in commercio costantemente. Si parla sia di farmaci per quelle malattie che oggi non hanno ancora una cura, sia di farmaci che curano le stesse patologie di altri, ma con dei vantaggi rispetto ai farmaci più vecchi, come maggior efficacia, minori effetti collaterali, maggior sicurezza o maggior praticità. Disincentivare tutto questo avrebbe effetti gravissimi. Quanto ai generici è sicuramente giusto incentivarne l’uso, ma bisogna ricordare che l’equivalenza totale tra il generico e il brand non esiste, e che in ogni caso la scelta di quale farmaco prescrivere spetta sempre al medico.

Micrografia elettronica a trasmissione del papilloma virus umano. National Institute of Health – Public Domain

La seconda frase che mi ha lasciato basito è questa: «Informare sulla prevenzione primaria (alimentazione sana, attività fisica, astensione dal fumo) e sui limiti della prevenzione secondaria (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva),ridimensionandone la portata, perché spesso risponde a logiche commerciali» (grassetto mio). Ora, è vero che la prevenzione primaria è importantissima, ed è anche vero che sarebbe corretto informare le persone che gli screening sono uno strumento potente ma limitato, ma perché mai bisognerebbe “ridimensionarne la portata”? Risponderà pure a logiche commerciali, ma anche il cibo biologico o l’iscrizione in palestra si pagano, e quindi rispondono a logiche commerciali, ma questo non ci dice nulla sui loro effetti sulla salute. L’unica fonte che andrebbe usata per parlare di effetti sulla salute sono gli studi epidemiologici, e questi ci dicono gli screening e la diagnosi precoce salvano ogni anno centinaia di migliaia di persone, “ridimensionarne la portata”, come vorrebbero Grillo e co. sarebbe un atto criminale. Senza contare che non tutte le malattie possono essere prevenute con uno stile di vita sano. Si pensi per esempio al cancro della cervice uterina, che è causato dal papilloma virus: l’unica protezione è data dal vaccino e dagli screening periodici, uno stile di vita sano non modifica di un bit il rischio di insorgenza.

Quanto poi al ridurre gli sprechi nella sanità si potrebbe cominciare vietando nelle strutture pubbliche le cialtronerie alternative, delle quali nel Movimento 5 Stelle abbondano i fan.

Veniamo ora alla stringatissima sezione ricerca. Anche qui l’ambiguità è massima. A parte alcune proposte apertamente ideologiche che sono in parte condivisibili, c’è una cosa curiosa, un termine ricorrente: ricercatori indipendenti. Che cosa significa? Se questo termine lo usassi io, includerebbe i ricercatori universitari, quelli degli istituti pubblici (ISS, CNR ecc.) e quelli degli istituti privati senza scopo di lucro (Istituto Mario Negri, IFOM, IEO ecc.). Praticamente resterebbero esclusi solo quelli (esigua minoranza) che hanno una precisa mission aziendale. Ma detto dal M5s il termine sembra assumere un significato diverso. Del resto, se nel termine “indipendenti” rientrassero quasi tutti i ricercatori, che bisogno ci sarebbe di specificarlo? E perché in un’altra sezione si sente il bisogno di specificare che vanno erogati finanziamenti anche alla ricerca universitaria? L’interpretazione peggiore possibile è che l’uso del termine in questo caso sia lo stesso che se ne fa negli ambienti “complottari”, cioè in pratica che si riferisca a ciarlatani e disinformatori, quelli delle scie chimiche e dei terremoti elettromagnetici. L’interpretazione migliore possibile è che chi l’ha scritto non avesse idea di cosa stava scrivendo. Tuttavia, data la totale mancanza di chiarezza non è possibile dare giudizi precisi.

DS-300x243E per tutto quello che non è incluso nel programma? Beh, qualcuno aveva provato a porre delle domande prima delle elezioni, ma non è finita bene. Paradossalmente la domanda che ha destato più scalpore, quella più strettamente scientifica e meno politica, quella sulla sperimentazione animale, era una delle poche in cui il M5s faceva bella figura, ma la risposta aveva un piccolo problema: non coincideva col pensiero di Grillo. Il riassunto della vicenda lo trovate qua, la sua morale è una sola: per quanto non espressamente specificato nel programma vale quanto scritto da Grillo nel suo blog, anche se a titolo personale e in tempi remoti.

E quali sono le posizioni di Grillo sui temi scientifici? Anche qui nulla di buono, purtroppo.

Paesi con poliomielite endemica, confronto tra il 1988 e il 2006. Nel momento in cui scrivo in India non si registra un caso di Polio da oltre due anni, può essere quindi eliminata dai paesi “in rosso”.

Grillo è un antivaccinista convinto. Crede alla bufala/truffa di Wakefield, vorrebbe che ciascuno potesse decidere liberamente se fare o meno le vaccinazioni che oggi sono obbligatorie, non concepisce che l’obbligo a vaccinarsi sia dovuto alla protezione della salute popolazione (se non ti vaccini metti in pericolo tutti quelli che ti circondano, perché rischi di far venir meno l’immunità di branco) e che quindi c’è un interesse pubblico che prevale sul privato. Nella sua smania del ritorno ai “bei tempi andati” non si è premurato di chiedere a qualche anziano com’era crescere quando ci si poteva ammalare di poliomielite o di difterite, malattie che l’igiene e gli stili di vita sani non prevengono.

Grillo ritiene che l’HIV/AIDS sia una grande truffa, sostiene che l’HIV non esista e che comunque non causi l’AIDS, dando credito alle ormai sconfessate teorie di Duesberg, nonché ad una serie di ridicole teorie del complotto. Che effetto avrà tutto questo sulla ricerca sull’HIV e sulla lotta all’AIDS nel nostro paese?

Grillo è un sostenitore del metodo Di Bella, una terapia contro il cancro che fu testata senza successo negli anni novanta. Una delle bufale più in voga al momento sostiene che questa cura in realtà funzionerebbe ma che sarebbe tenuta nascosta dalle cattive case farmaceutiche colluse col ministero della sanità. Ecco, Grillo crede questo, cosa si devono aspettare le migliaia di ricercatori che cercano ogni giorno nuove cure che funzionino e le migliaia di medici che ogni giorno il cancro lo curano davvero?

Grillo è contro la sperimentazione animale, che come tutti quelli che non si vogliono informare chiama impropriamente “vivisezione”. Su questo tema ho già scritto in un precedente post, in ogni caso c’è chi ha trattato l’argomento molto meglio di me.

Grillo è contro gli OGM, e dà credito a bufale e mistificazioni varie, come quella del “pomodoro antigelo”, che a suo dire avrebbe ucciso diverse persone, cosa impossibile, dato che non è mai esistito. Tutto mentre l’agricoltura in Italia rimane arretrata rispetto al resto d’Europa.

Grillo è un fan di Giampaolo Giuliani, il ciarlatano che sostiene di poter prevedere i terremoti e plaude alla sentenza che ha condannato i geofisici per non aver avvertito la popolazione del terremoto dell’Aquila. A tal proposito rimando ad una lettera dell’Associazione Nazionale Giapponese di Ingegneria Sismica, i cui estensori sono forse i maggiori esperti mondiali di terremoti, e che certo non sono interessati alla politica italiana.

Non voglio dare giudizi sul personaggio, anche se di chi ha definito Rita Levi Montalcini una “vecchia puttana” non posso certo avere una buona opinione, ma piuttosto mettere in chiaro che, in un momento in cui la scienza e la ricerca in Italia non versano certo in buone condizioni, queste sono le battaglie che speriamo di non vedere mai in parlamento, e contro cui combatteremo con tutte le nostre (modeste) forze, nella speranza che alla base delle decisioni che verranno prese ci sia la competenza della comunità scientifica, e non la prepotenza di chi urla più forte.

13 pensieri su “Scienza, ora che succede?

  1. Mi è stato fatto notare che la frase sui farmaci potrebbe essere un maldestro riferimento alla farmacovigilanza. Interpretata in questo modo la frase potrebbe avere un minimo di senso, anche se permane l’errore di fondo, cioè che il fatto che di un farmaco siano conosciuti tutti gli effetti collaterali non lo rende affatto “più sicuro” di per sé.
    E questo non fa che ribadire quanto sia ambiguo e approssimativo il tutto.

  2. Veramente un ottimo articolo, complimenti!
    Anche a me hanno fatto notare che alcune frasi potrebbero essere solo ambigue, ma la sostanza non cambia: l’ambiguità indica che sono state scritte da un dilettante e in temi come la salute la dilettanza è gravissima.
    Ti segnalo anche questo: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/27/viaggio-di-grillo-fo-casaleggio-e-guru-disse-leader-parola-del-passato/481585/
    Più o meno a metà, grillo dice che i medici sono inutili e che andrebbero sostituiti con l’autodiagnosi in rete. Casaleggio nomina un tizio che dice di essersi curato la sclerosi multipla con l’autodiagnosi su internet, tizio che ovviamente ora è deputato pentastellato.

  3. L’ha ribloggato su Io Non Faccio Nientee ha commentato:
    …L’idea che i temi scientifici si possano affrontare senza competenza nasce dalla confusione tra democrazia e dittatura della maggioranza, nonché dall’ignoranza di un dettaglio fondamentale, e cioè che la scienza non è democratica.

  4. Una domanda un po’ fuori tema, forse, ma nemmeno poi troppo: quale sarebbe la differenza, per non confonderle, fra democrazia e dittatura della maggioranza?
    Non è una domanda retorica, men che meno ironica: è da un po’ di tempo che vado domandando in giro, ma finora non è che abbia ottenuto grandi risposte.
    Per quel che capisco io, questa di Grillo mi sembra proprio una bellissima — ehm, volevo dire tragica, se non farsesca — dimostrazione pratica che la democrazia non funziona: che la democrazia non ha affatto in sé gli antidoti al dispotismo, che tutte le libertà di cui, per fortuna, godiamo nelle nostre società occidentali, ci sono concesse non da, ma nonostante, la democrazia, e che in un qualsiasi momento — puf! — ci possono essere confiscate con una scusa qualsiasi. En passant, se volessi chiudere definitivamente la discussione per reductio ad nazium (ma in questo caso non sarebbe affatto una fallacia ad hominem!) ricorderei che tanto Hitler quanto Mussolini furono regolarmente e democraticamente eletti.

    Ecco, mi sono dilungato come al solito, chiedo scusa e riassumo la domanda: cosa distingue una democrazia da una dittatura della maggioranza?

    PS
    Qui in fondo, altrimenti sembra piaggeria captatio benevolentiae: complimenti per il blog appena scoperto, i post, i toni, gli argomenti, le tesi, etc, etc…

    • Ciao. Non sono un esperto, quindi sicuramente non sono la persona più adatta a risponderti, e di certo non lo posso fare con autorevolezza. Ti dirò la mia personale opinione: per me si ha democrazia quando si effettuano scelte consapevoli e il più possibile condivise (la consapevolezza secondo me è un requisito fondamentale), si ha dittatura della maggioranza quando ci si basa sulla forza dei numeri per imporre le proprie idee. Non è un caso che nel parlamento ogni votazione sia preceduta da diverse discussioni, prima in commissione e poi in aula. Infatti la bontà di un’idea non dipende da quante persone la sostengono (è una fallacia logica nota come argumentum ad judicium). Pensa ad esempio che in tutti i paesi democratici si effettua per quanto possibile la tutela delle minoranze (linguistiche, culturali, religiose…) che se si dovesse semplicemente decidere “a maggioranza” non conterebbero niente e potrebbero essere oppresse, come avviene nelle dittature.

      Tornando on topic, sui temi scientifici in una democrazia funzionante bisognerebbe prima di decidere ascoltare la voce della competenza e poi agire razionalmente di conseguenza. Quello che spesso succede è che invece ci si basa su premesse ideologiche (“la sperimentazione animale fa male agli animali pucciosi”, “la ricerca sui vaccini è controllata dalle cattive lobby industriali” ecc.) e si agisce in su base emozionale. Quando si parla di scienza questo è ancora più dannoso, perché l’universo se ne frega delle nostre decisioni a maggioranza. Per dirla con una citazione attribuita a Ayn Rand: You can ignore reality, but you can’t ignore the consequences of ignoring reality.

      Non credo di aver chiarito i tuoi dubbi, del resto vedo che sul tuo blog hai approfondito la questione meglio di quanto potrei fare io. Ah, e grazie per i complimenti.

      • Grazie, sì, mi interessava proprio l’opinione di chi considera(va) la distinzione tra democrazia e dittatura della maggioranza un punto di partenza per le proprie argomentazioni ulteriori; volevo capire quanto fosse davvero ovvia questa cosa che veniva data per scontata, visto che a me ovvia non sembrava affatto.

        Scelte consapevoli, dici, il più possibile condivise. Criterio estremamente debole, già sul piano del significato: con tutti i voti che ha preso, il Movimento 5 Stelle ormai può facilmente chiamare “condivise” le sue posizioni, e come si può sostenere che non siano anche consapevoli?
        Ed è proprio perché la bontà di un’idea non dipende da quanti la sostengono che mi chiedo dove siano mai i lati positivi della democrazia. Grazie a Dio le democrazie occidentali portano (un certo grado di) rispetto verso (certe) minoranze, ma il punto è: in quale parte del concetto di democrazia è racchiuso, questo rispetto? Alcuni sostengono che risieda nelle costituzioni che le fondano, ma allora la democrazia propriamente detta, il voto, a cosa serve? Perché non decidere tutto nelle costituzioni? Ma chiaramente significherebbe semplicemente spostare il problema: chi redige, infatti, le costituzioni? Un gruppo di persone? Saggi? A maggioranza (per far rientrare la “democrazia” dalla finestra)? Ma allora siamo daccapo: cosa impedisce ai redattori della costituzione di non prevaricare sulle minoranze? Da dove discende la loro “saggezza”, la loro autorità?

        Sulla declinazione più on topic delle mie domande, anche per le politiche sulla ricerca scientifica si pongono precisamente gli stessi problemi: sto facendo l’avvocato del diavolo, sono virtualmente d’accordo con tutto quanto scrivi nei tuoi post, sperimentazione animale inclusa: ma possiamo davvero chiedere semplicemente ai fisici se sia il caso o meno di finanziare ancora per altri 40 anni la ricerca in teoria delle stringhe?

        Mi fermo qui, del resto il mio scopo — se non era chiaro, lo confesso esplicitamente — era instillare dubbi: una mia idea piuttosto precisa sulla questione ce l’ho già.
        Perdona l’intrusione e grazie ancora della tua opinione.

      • La differenza tra qualcosa di condiviso e qualcosa di deciso a maggioranza a me sembra lampante. Sono due termini con significato sostanzialmente opposto. A maggior ragione nella situazione in cui ci troviamo ora in Italia in cui un partito, il PD, ha la maggioranza relativa e nessuno la maggioranza assoluta. I limiti che evidenzi sono propri dei sistemi democratici, che sono perfettibili, non della democrazia. Ad esempio nel parlamento italiano è possibile agire in maniera antidemocratica, con un sistema detto “a colpi di maggioranza”, che consiste nel forzare a tutti i costi l’approvazione di provvedimenti completamente sgraditi all’opposizione. L’applicazione di tale sistema tuttavia è difficilissima, neanche l’ultimo governo Berlusconi, che aveva almeno all’inizio una delle maggioranze più grosse mai viste (il gruppo parlamentare del PDL è stato il secondo gruppo più grande della storia repubblicana dopo quello della DC), ci è riuscito, se non su alcuni provvedimenti considerati particolarmente importanti. Di fatto la maggior parte dei provvedimenti sono frutto di un compromesso ottenuto grazie agli strumenti che le opposizioni hanno a disposizione. I governi che tentino la strada dei colpi di maggioranza di norma durano pochissimo. Il sistema ovviamente non è perfetto, ed è viziato da numerosi difetti, fra i quali la pochezza e l’ignoranza delle persone che vi partecipano.

        Per quanto riguarda il contenuto dell’articolo, ad esempio l’approvazione dell’emendamento Brambilla alla direttiva europea sulla ricerca biomedica, se fosse avvenuta, sarebbe stata un esempio di dittatura della maggioranza, per far contenta la quale si voleva ignorare il parere della comunità scientifica, cioè della minoranza qualificata in questo campo. In una democrazia ideale questo non dovrebbe poter avvenire (scelta consapevole). Al contrario la direttiva stessa è un fulgido esempio di democrazia: è stata infatti ottenuta attraverso un dialogo tra la politica, la comunità scientifica e le associazioni ambientaliste, ottenendo il miglior compromesso possibile, che tendesse all’interesse e al bene di tutti, e non a quello della sola parte dominante.

        Per concludere, la differenza tra democrazia e dittatura della maggioranza esiste e mi appare molto chiara, non so se sono riuscito a renderla bene a parole, ma c’è ed è sostanziale. Il punto è far tendere i nostri sistemi democratici, che per natura sono imperfetti, nella giusta direzione.

  5. Grazie dell’approfondimento, trovo che, meglio di altri, esso provi ad entrare più in profondità nel merito della questione.
    Permettimi ugualmente di farti un po’ le pulci.

    Di passaggio, noto che è stato approfondito solo il tema della condivisione, nonostante nel commento precedente sottolineassi come fosse la consapevolezza ad essere, secondo te, un requisito fondamentale. Io credo che quello della consapevolezza sia un concetto ancora più problematico di quello della condivisione.

    Restando sulla condivisione, dai tuoi esempi mi pare di poter dedurre che si tratterebbe semplicemente di una maggioranza ampia: se è risicata o a maggior ragione semplicemente relativa, si configurerebbe come dittatura; per evitare ciò essa dovrebbe allargarsi ad includere anche (parte del)l’opposizione. Ma, di grazia, quale sarebbe il confine? I due terzi? I tre quarti? L’unanimità?
    Non pensare che queste mie pretese di una quantificazione siano pignolerie, perché sollevo la questione appunto per sottolineare l’ingenuità di un approccio qualitativo, che argomenta per esempi “facili”, in cui è possibile suggerire dei compromessi accettati, o accettabili, da tutti: il ruolo della democrazia dovrebbe proprio essere quello di risolvere le situazioni in cui tali compromessi non si trovano: cosa si fa in quei casi? Senza contare che anche quando certe decisioni vengo prese con ampio consenso, ci sono sempre minoranze contrarie che vengono “prevaricate” ed obbligate ad accettare le decisioni condivise dalla stragrande maggioranza.

    Sollevi poi la questione della differenza fra sistemi democratici, in concreto, e la democrazia, in astratto. E’ un invito a nozze, perché anch’io considero la condivisione un valore nella risoluzione pacifica dei conflitti: ciò che critico è segnatamente il meccanismo di voto come cornice entro cui essa viene relegata a mero indirizzo programmatico, bontà loro (dei rappresentanti eletti). Una delle critiche più forti alla democrazia, infatti, è proprio quella che evidenzia i meccanismi perversi che essa mette in campo, i quali incentivano precisamente quelle pratiche di sopraffazione che condanni, da parte nemmeno di maggioranze risicate, ma addirittura di minoranze sufficientemente organizzate da riuscire a far prevalere i propri interessi, a scapito di quelli degli altri che sono semplicemente meno organizzati perché il danno che subiscono è relativamente piccolo, presi singolarmente, rispetto alle risorse che dovrebbero mettere in campo per contrastarlo, mentre il vantaggio della minoranza è enorme, giustificando le ingenti risorse di lobbying spese per la propria causa. C’è tutta una letteratura a riguardo che va sotto il nome di public choice theory, che evidenzia l’inevitabilità di questi circoli viziosi in una gestione statale e democratica della cosa pubblica.
    Le mie critiche, dunque, risalgono fino alla democrazia in senso astratto, perché le deficienze e i difetti dei sistemi democratici sono la naturale conseguenza delle “regole del gioco”, e non un’eccezione dovuta a cause contingenti. Era questo che intendevo quando sottolineavo che tutte le libertà di cui, per fortuna, godiamo nelle nostre società occidentali, ci sono concesse non da, ma nonostante, la democrazia.

    Perdona la lunghezza del commento, ma volevo infine intervenire anche a proposito dell’emendamento Brambilla: non lo conosc(ev)o, ma ne approfitterò soltanto come ulteriore occasione per chiarire la direzione verso cui sto cercando di farvi guardare. Premetto anche, su questo tema, che sono in totale accordo con le posizioni che esprimi in questo e in altri post su questo blog. Vorrei far notare, però, che il fatto che gli animali abbiano o meno certi diritti non può dipendere dal fatto che la comunità scientifica in gran parte sia solita procedere in certi o in certi altri modi: nonostante si situino su un piano epistemologico diverso, i diritti non possono essere messi ai voti esattamente allo stesso modo per cui non possono essere messe ai voti le teorie scientifiche. La comunità scientifica ha la massima competenza sulle metodologie della sperimentazione animale a fini conoscitivi, mentre la questione che pongono gli ambientalisti non è di tipo scientifico/metodologico (per quanto spesso usino, malissimo e inappropriatamente, argomenti di ambito scientifico), ma di diritto. Nonostante in questo caso io sia completamente d’accordo con le tue posizioni, non posso evitare di sottolineare l’errore del ragionamento che vorrebbe far discendere un giudizio di valore da una consuetudine metodologica.

    Ora mi fermo, spero di non aver dato troppo fastidio.

    • Stiamo andando un po’ troppo in profondità per quel che permettono le mie competenze (anche se trovo questa discussione estremamente stimolante, e te ne ringrazio). Vorrei solo precisare che quando parlo di condivisione non intendo “maggioranza ampia” e neanche “più ampia possibile”, intendo che le azioni della maggioranza devono (dovrebbero) essere tese verso (quello che è ritenuto) il bene di tutti, anche della minoranza, e che per far questo le due (o più) parti devono (dovrebbero) agire attraverso gli strumenti del consenso e del compromesso. Il fatto che questo si verifichi solo in parte indica che i nostri sistemi democratici devono ancora maturare (fermo restando che, come qualsiasi sistema umano, resteranno sempre intrinsecamente imperfetti, almeno rispetto all’ideale a cui tendono).

      Venendo al discorso sull’emendamento Brambilla, innanzitutto ti devo contraddire, i principali attacchi del mondo animalista (o almeno delle associazioni) tentano di “invadere” il campo scientifico. Affermazioni quali “La vivisezione è inutile“, “Esistono metodi alternativi“, “I test sugli animali non sono predittivi” ecc. sono all’ordine del giorno.
      Inoltre la discussione sull’emendamento Brambilla verte principalmente su un piano scientifico, o se preferisci razionale, in quanto la comunità scientifica, a partire dai veterinari specializzati in benessere degli animali da laboratorio, spiega che tale emendamento andrebbe principalmente a danno del benessere degli animali stessi, danneggiando così sia la ricerca che gli animali.
      Ma limitandosi a parlare di etica e diritto, bisogna ricordare che il diritto e l’etica sono costruzioni umane, e che gli animali, non essendo in grado né avendo intenzione di seguire norme etiche e di diritto, non vi partecipano come soggetti. In altre parole un animale può essere oggetto di diritto, ma mai soggetto di diritto (anche perché la capacità giuridica che così acquisirebbe gli conferirebbe oltre ai diritti anche dei doveri, il che non è pensabile). In natura, dove il diritto non esiste, ogni essere vivente sfrutta indiscriminatamente gli altri esseri viventi. Il diritto viene inventato dall’uomo come strumento per tutelare sé stesso, ed è costituito da un accordo tra gli uomini basato su reciproci vantaggi. Un animale potrà esservi incluso, ma non essendo in grado di prendere parte all’accordo non potrà mai essere sullo stesso piano dell’uomo. Quindi se una legge sulla ricerca biomedica danneggia la ricerca (e questo sta alla comunità scientifica stabilirlo), e quindi lede un diritto umano (il diritto alla salute) nessuna argomentazione etica potrà essere portata in suo favore. Se desideri approfondire, anche questi argomenti sono stati trattati dai ragazzi della Resistenza Razionalista, ad esempio qui, qui, qui , qui e in diverse altre parti del loro blog. Pur non essendo io un razionalista trovo la maggior parte delle loro argomentazioni decisamente condivisibili. Se hai dubbi in merito, solitamente sono ben disposti a rispondere a queste questioni.

      • Mi fa piacere che, nonostante l’ormai notevole dipartita fuori tema, il confronto non ti annoi. Cercherò comunque di essere più breve, del resto ci stiamo avvicinando molto alla prospettiva che mi interessava tratteggiare.

        Accetto di non aver colto il punto e provo a seguirti sul fronte “bene comune”. Di fronte a questo profilo di difesa della democrazia ci sono due ordini di obiezioni, la prima più contingente e “tecnica”, la seconda più profonda e generale.

        La prima obiezione nasce dalla perplessità che il meccanismo di voto possa costituire il procedimento corretto per “decidere” quale sia il bene comune. Per ripetere le stesse parole di un mio precedente commento, il bene comune, come i diritti e le teorie scientifiche, non si mette ai voti. Si può accettare di buon grado l’idea che per “scoprire” il bene comune sia efficace un incontro dialettico tra le diverse parti in causa, un confronto fra le diverse tesi e le loro argomentazioni; ma infine, varrà ben più la forza di quelle argomentazioni che non il numero dei loro sostenitori: quale sarebbe il passo logico che conduce al voto come meccanismo di scelta? Detto in maniera ancora più evidente: la critica “questa scelta non è democratica, ma si configura come dittatura della maggioranza!” presuppone proprio che esista un criterio diverso, rispetto conteggio dei voti, che permetta di giudicare appunto la votazione come “valida”, nel caso assecondi l’esito delle discussioni alla ricerca del bene comune, o come “dittatoriale”, nel caso se ne discosti.
        Questo ci porta dritti alla seconda, più profonda, obiezione: come si stabilisce qual è il bene comune, con che criteri? Ebbene, la mia tesi è che non sia possibile, non dico definire, ma nemmeno delineare, un concetto di bene comune. Le preferenze, le scale di valori, sono inevitabilmente soggettive — di più, la stessa persona può, e molto spesso lo fa, cambiare preferenze nel corso del tempo; di più ancora, la stessa persona, nello stesso momento, assegna valori diversi a beni identici (cfr. rivoluzione marginalista). Ma anche senza scomodare i fondamenti della teoria del valore, l’idea che si possa, a tavolino, stabilire cosa è meglio per tutti, anche in un senso debole, paretiano, del termine, è un presupposto ingenuo: ognuno dovrebbe essere lasciato libero di fare le proprie scelte, con l’unico limite della stessa medesima libertà altrui, ovvero con l’unico limite del diritto.

        Mi fermo qui, sulla democrazia: in una serie di commenti in calce a un post non posso pensare di offrire che spunti di riflessione, non certo argomentazioni definitive; del resto ho toccato più o meno esplicitamente molte questioni che a me, personalmente, che partivo da posizioni del tutto sovrapponibili alle tue, hanno richiesto mesi di studio, sedimentazione e approfondimento, prima di riuscire ad appropriarmene.

        Ma in fondo mi fermo qui tout court, perché sull’altra metà del tuo commento non ho altro da dire se non che mi trovo pienamente d’accordo su tutta la linea: sia sulle invasioni di campo del mondo animalista (commentavo già “per quanto spesso usino, malissimo e inappropriatamente, argomenti di ambito scientifico”, e non faccio fatica a crederti che siano la gran parte, se non la totalità, delle argomentazioni avanzate) quanto sulla concezione del diritto, con tutte le conseguenze che hai delineato.

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